Album foto: "Da Jomosom a New Dehli"

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Il ritorno del nostro trek comincia lo stesso giorno del nostro arrivo a Jomosom, la domenica 12 maggio 1968. I nostri piedi ci fanno ancora soffrire ma le ferite guariscono a poco a poco, anche se, camminando con le "thong" in mezzo ai sassi o nelle lunghe ed irregolari scalinate ci provocherà altre ferite. L'altro problema che incontriamo è la pioggia che cadde ogni pomeriggio. Dobbiamo fare, a volte, un camino più lungo perché non è più possibile attraversare certi torrenti sui grossi sassi… Abbiamo saputo, quando siamo arrivati a Pokhara, che c'erano dei problemi in Francia. Qualche giorno dopo, quando arriviamo a New Delhi, la situazione in Francia fa la prima pagina di tutti i giornali, con foto di barricate, di auto che bruciano. Si parla di fermo dei trasporti, di penuria di benzina, di sciopero generale, di scontri con la polizia, di feriti, perfino di morti… Quando ci presentiamo alle Japan Airlines per confermare i nostri biglietti di ritorno, ci dicono che nessuno aereo atterra a Parigi e ci fanno, invece, un biglietto per Ginevra (Svizzera). Dopo, dovremo arrangiarci… Durante la sosta a Roma, il 28 maggio mattina, riusciamo a chiamare le nostre famiglie che ci rassicurano un po'. Arrivati in Svizzera, impariamo che un aereo militare francese fa la navetta tra Ginevra e Brétigny, aeroporto militare vicino a Parigi. I due voli previsti per questo giorno sono già completi. Prenotiamo per il giorno successivo, ma veniamo lo stesso all'aeroporto nel pomeriggio, per vedere se dei posti si sono liberati. Per fortuna, sei persone non si presentano all'imbarco, possiamo dunque partire lo stesso giorno. I genitori di André vengono a recuperarci Place Balard dove un pullman militare ci ha portati. Più tardi, un mio amico con i miei genitori, vengono a prendermi alla casa di André. Siamo alla sera del martedì 28 maggio 1968, un po' più di quindici mesi sono passati da quando sono partito dalla Francia e, fortunatamente, il ritorno è stato più facile di quello che temevamo... Adesso, cosa succederà nei giorni, settimane e mesi a venire? Non lo sappiamo ancora…

Non ci siamo fermati a Jomosom. Siamo tornati a Tukuche, la stessa domenica 12 maggio. Arriviamo a Pokhara, alla fine del trek, il 19 maggio. Ne ripartiamo per Katmandu, con un DC3 delle Royal Nepal Airlines, il giovedì 23 maggio. Lasciamo Katmandu il giorno dopo, 24 maggio, in un Fokker 27 delle Royal Nepal Airlines e arriviamo in fine pomeriggio a New Delhi, capitale dell'India. Ne ripartiamo, il lunedì 27 maggio, verso mezzanotte, con un DC8 delle Japan Airlines. Arriviamo a Roma, il martedì mattina, dopo due soste (Teheran ed il Cairo). Un DC9 della Swiss Air ci porta a Ginevra (Svizzera) dove riusciamo a prendere un Nord 2501 (Nord Atlas) dell'Aeronautica Militare Francese che ci porta a Brétigny. Un pullman militare ci permette di raggiungere Parigi, il martedì 28 maggio in fine pomeriggio.
La domenica 12 maggio, ripartiamo da Jomosom, lo stesso giorno del nostro arrivo, alle 14.30 e ci troviamo, per la prima volta, sotto uno scroscio di pioggia. Ci fermiamo verso le 16.00, per bere un tè caldo ed asciugarci, in un villaggio dove incontriamo un fratello di Mingma. La nostra guida decide di rimanere la notte con lui e ci lascia proseguire da soli. Ripartiamo verso le 17.30 e arriviamo a Tukuche verso le 19. 
Il 13 maggio, Mingma ci raggiunge verso le 7, ma aspettiamo il passaggio di suo fratello che torna da una spedizione con tre americani e qualche portatore. Siccome non lo vediamo arrivare, partiamo verso le 12.10. Arriviamo a Khobang verso le 13.10, quando comincia a piovere. 
Il 14 maggio, la mattina il tempo è bello, partiamo alle 6.50 e arriviamo a Lete verso le 9.15. Piove di nuovo nel pomeriggio. Pioverà così ogni pomeriggio, proveremo perciò a camminare il più possibile durante la mattina. 
Il 15 maggio, partiamo alle 6.10 e arriviamo a Dana verso le 13.35. 
Il 16 maggio, partiamo alle 6.05. Ci fermiamo, un attimo verso le 8.40, vicino a delle sorgente d'acqua calda. Della gente sta facendo il bagno, in vasche naturali, nell'acqua che sembra fumare nell'aria fredda. Arriviamo a Sikha verso le 14.45. 
Il 17 maggio, partiamo alle 6.40. Siamo in cima al passo di Ghorapani verso le 9.05. Ci fermiamo in un villaggio per mangiare poi arriviamo in cima alla lunga scalinata verso le 13.50, metteremo un'ora per scenderla. Arriviamo a Tirkhedhunga, verso le 14.55. Abbiamo parlato un po' con il fratello di Mingma che ci sta seguendo. Ha partecipato alla spedizione francese di J. Franco sul Makalu nel 1955 (la prima volta che questa cima di 8515 m è stata scalata). 
Il 18 maggio, partiamo alle 6.15. Ci fermiamo dalle 14 alle 16 per metterci al riparo dalla pioggia e arriviamo a Nodhala verso le 17.10. 
Il 19 maggio, partiamo verso le 6.20 per l'ultima tappa. Arriviamo, verso le 13, vicino all'aeroporto di Pokhara, dove troviamo un albergo.
Un muro con mulini a preghiera all'uscita di un villaggio. Si deve passare sulla sinistra del muro per potere fare girare i mulini con la mano destra. Questo permette alle preghiere contenute in questi mulini di salire verso i dei. Si vede anche una bandiera di preghiera, in questo caso è il vento che facendo muoverla manda le preghiere scritte su di essa.
Vista del Dhaulagiri (8172 m), la mattina, sgombro dalle nuvole.
All'altitudine di Lete (2379 m) c'è una foresta di abeti. Prima di arrivare a questo villaggio, abbiamo scorso due grosse scimmie (un metro di lunghezza circa, senza la coda). All'inizio, da lontano, pensavamo che fossero grossi cani. E' Mingma che ce li ha fatti vedere. Ne vedremo altri uguali un altro giorno.
Diversi tipi di case incontrate  durante il trek. In questo villaggio, le case sono in pietre non rivestite con un pianterreno e, a volta, un primo piano. Hanno tutte una cosa in comune: non hanno un camino e il fumo esce dalla porta o da una finestra quando ce n'è una. Per questo i soffitti sono sempre neri brillanti, dovuto al fumo che ci è depositato.
In un altro villaggio ci sono delle case di pietre non rivestite con diversi piani (fino a due sopra il pianterreno). Queste case come le precedenti sono coperte di lastre di pietra.
Vitto e allogio Durante il trek siamo stati ospitati dagli abitanti in diversi tipi di case. Dormivamo generalmente sul pavimento nei nostri sacchi a pelo, stesi su una stuoia o un tappeto oppure, una volta, dei cuscini. Mingma negoziava il prezzo dell'alloggio e del cibo. Faceva lo stesso quando ci fermavamo in un villaggio per la prima collazione, per il pranzo o per bere il tè o una bevanda fermentata che lui chiamava birra (in inglese: beer) e che si chiamava localmente "tsar". L'unico luogo dove abbiamo dormito in una specie di albergo, è stato a Tukuche. L'edificio era di forma quadrata con un cortile interne, le camere erano disposte attorno a questo cortile, il quale si trovava riparato dai venti violenti che tirano spesso nella valle alta della Kali Gandaki. Questo "lodge" era certamente stato costruito per accogliere i membri delle numerosi carovane che, una volta, percorrevano questa valle tra il Tibet e il Nepal, per il commercio del sale.
Altro tipo di casa, piccola, monolocale senza finestra, i muri sono rivesti e dipinti di bianco o di colore ocra e il tetto è coperto di paglia. Queste case si incontrano spesso, a quota più bassa e fuori dei villaggi.
Il cibo Il cibo è stato quasi sempre del riso con un sugo molto piccante che conteneva, il più spesso delle verdure, qualche volta una specie di lenticchia, chiamata "dhal". Abbiamo mangiato raramente un po' di carne, pollo o capra seccata. Nelle montagne i Nepalesi mangiano con le mani. Prendono con tre diti una pallina di riso, la inzuppano nel sugo e con il pollice se la spingono in bocca. Noi, non ci siamo mai riusciti: il riso ricadeva in pioggia sulle nostre ginocchia o per terra. Siccome l'unica posata che avevano da proporci era il cucchiaino per il tè, abbiamo dovuto mangiare piattoni di riso con un cucchiaino. Così si impara la pazienza! Chiedevamo sempre a Mingma di domandare che il sugo non sia troppo piccante. L'unica volta, dove ci siamo trovati da soli, a Tukuche, la sera del 12 maggio, non abbiamo potuto farci capire e il cibo è stato così piccante che i nostri occhi piangevano e siamo riusciti, a fatica, ad inghiottire solo qualche boccone di una cena che ci metteva il fuoco nella bocca.
Su questa casa si può vedere come il muro è fatto bene, non c'è bisogno di cemento per fare tenere le pietre e non c'è quasi nessuno vuoto tra di loro, basta un po' di fango seccato per riempirli.
Un ponte fatto di tavole di legno sospese a due catene d'acciaio. Nel mezzo, una bandiera a preghiere ne assicura la protezione divina.
Villaggio dove ci siamo fermati per mangiare verso la fine del trek, la vegetazione è cambiato, si intravede persino un banano dietro la casa.
Un bufalo si approfitta dell'erba rasa che ricomincia a crescere con le ultime piogge.
Questi altri bufali sono felici di vedere arrivare le piogge, perché possono più facilmente fare un bagno di fango per sbarazzare la loro pelle dai parassiti.
Ci troviamo, il giovedì 23 maggio 1968, davanti all'aerodromo di Pokhara. Non somiglia molto ad un aerodromo. La sala d'attesa è sotto l'albero, oppure seduti a terra o in piedi ma sempre con l'ombrello per proteggersi sia del sole che della pioggia. Ci sono due panelli di pubblicità (a sinistra per delle scarpe). Sulla pista d'atterraggio, delle mucche e dei bufali stano brucando. A causa delle piogge in questo inizio di monsone, non siamo sicuri dell'orario di arrivo dell'aereo, nemmeno se verrà oggi. Verso le 15.15 suona una sirena, delle persone di varie età si precipitano sulla pista per fare sgomberare gli animali. Poi si sente un rombo di motori e, in fine, vediamo arrivare il nostro DC3. Possiamo tornare a Katmandu!
Siamo ora in India, davanti alla grande moschea, nella Delhi antica.
Il viaggio sta per finire e André scatta una foto d'una mucca sacra (come tutte le mucche in India) davanti ad un parco nella nuova Delhi (New Delhi). E' vero che queste mucche hanno una nobiltà nell'attitudine che non hanno le mucche occidentali. Hanno anche degli occhi molto belli, quasi quasi si crederebbe che si trucchino.

 

 

 

Ritorno

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